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The text of President Bush's radio address from Camp David on Saturday, as transcribed by eMediaMillWorks, Inc.:
THE ASSOCIATED PRESS su la Repubblica

Good morning. This weekend I am engaged in extensive sessions with members of my National Security Council as we plan a comprehensive assault on terrorism.
This will be a different kind of conflict against a different kind of enemy. This is a conflict without battlefields or beachheads, a conflict with opponents who believe they are invisible. Yet they are mistaken. They will be exposed, and they will discover what others in the past have learned: Those who make war against the United States have chosen their own destruction.
Victory against terrorism will not take place in a single battle but in a series of decisive actions against terrorist organizations and those who harbor and support them.
We are planning a broad and sustained campaign to secure our country and eradicate the evil of terrorism, and we are determined to see this conflict through. Americans of every faith and background are committed to this goal.
Yesterday I visited the site of the destruction in New York City and saw an amazing spirit of sacrifice and patriotism and defiance. I met with rescuers who have worked past exhaustion who cheered for our country and the great cause we have entered.
In Washington, D.C., the political parties in both houses of Congress have shown a remarkable unity, and I'm deeply grateful. A terrorist attack designed to tear us apart has instead bound us together as a nation.
Over the past few days, we have learned much about American courage, the courage of firefighters and police officers who suffered so great a loss, the courage of passengers aboard United 93 who may well have fought with the hijackers and saved many lives on the ground.
Now we honor those who died and prepare to respond to these attacks on our nation.
I will not settle for a token act. Our response must be sweeping, sustained and effective. We have much to do and much to ask of the American people. You will be asked for your patience, for the conflict will not be short. You will be asked for resolve, for the conflict will not be easy. You will be asked for your strength because the course to victory may be long.
In the past week, we have seen the American people at their very best. Everywhere in America, citizens have come together to pray, to give blood, to fly our country's flag. Americans are coming together to share their grief and gain strength from one another.
Great tragedy has come to us, and we are meeting it with the best that is in our country, with courage and concern for others because this is America. This is who we are. This is what our enemies hate and have attacked. And this is why we will prevail.
Thank you for listening.

Buongiorno. Questo weekend sono impegnato in una lunga riunione con i membri del Consiglio di Sicurezza Nazionale in quanto stiamo preparando un attacco completo al terrorismo.
Questo sarà un tipo di conflitto diverso contro un tipo differente di nemico. Questo è un conflitto senza campi di battaglia o teste di ponte, una guerra dove gli avversari credono di essere invisibili. Ma si sono già sbagliati. Saranno smascherati e scopriranno ciò che altri in passato hanno imparato. Coloro che dichiarano guerra agli Stati Uniti scelgono la propria distruzione. La vittoria contro il terrorismo non avverrà in una sola battaglia ma in una serie di azioni incisive contro le organizzazioni terroristiche e contro coloro che le proteggono e sostengono.
Stiamo pianificando una campagna lunga ed imponente per rendere sicuro il nostro paese e sradicare la minaccia del terrorismo e siamo determinati a non abbandonare la lotta. Americani di ogni fede e background sono impegnati in questo obiettivo.
Ieri ho visitato il luogo di distruzione a New York e ho visto un incredibile spirito di sacrificio, di patriottismo e di sfida. Ho incontrato i soccorritori che hanno lavorato fino all'esaurimento, che hanno incoraggiato il nostro paese e la causa che abbiamo intrapreso.
A Washington, D.C., le parti politiche in entrambi i rami del Congresso hanno dimostrato una unità straordinaria, ed io sono profondamente riconoscente. Un attacco terrorista determinato a dividerci ci ha invece unito come nazione.
Nei giorni scorsi abbiamo imparato molto sul coraggio americano, il coraggio di pompieri e di ufficiali di polizia che hanno subito perdite così ingenti, il coraggio dei passeggeri a bordo del United 93 i quali possono aver certamente combattuto contro i dirottatori e salvato molte vite a terra.
Rendiamo ora onore a coloro che sono morti e prepariamoci a rispondere agli attacchi alla nostra nazione.
Non mi accontenterò di un atto simbolico. La nostra risposta deve essere ampia, determinata ed efficace. Abbiamo molto da fare e molto da chiedere ai cittadini americani. Sarete invitati alla pazienza, perché la guerra non sarà breve. Vi sarà chiesta determinazione, perché la guerra non sarà semplice. Verrà richiesta la vostra forza, perché il cammino verso la vittoria potrebbe essere lungo.
La settimana passata abbiamo visto gli americani al loro meglio. Dappertutto in America, i cittadini si sono riuniti per pregare, per dare il sangue, per sventolare la nostra bandiera. Gli americani condividono il dolore e si fanno forza tra loro.
Ci ha colpito una grande tragedia e noi la affrontiamo nel migliore dei modi, con coraggio e preoccupazione per gli altri, perché questa è l'America. Questo è ciò che noi siamo. Questo è ciò che i nostri nemici odiano ed hanno attaccato. E questo è il motivo per cui noi prevarremo.
Grazie per il vostro ascolto.


On the bombings
Noam Chomsky su l'Unità
Quella che segue è una dichiarazione che Noam Chomsky ha scritto per la rivista online "Zmag.org" autorizzandone la diffusione in rete anche attraverso il circuito di "Peacelink".
Il testo integrale in inglese: Zmag.org


Questi attacchi terroristici sono gravi atrocità. Per proporzioni, forse non raggiungono il livello di molte altre, ad esempio, i bombardamenti di Clinton in Sudan senza un pretesto credibile, che hanno distrutto metà delle scorte farmaceutiche del paese, uccidendo un numero sconosciuto di persone (nessuno sa quante, perché gli USA hanno bloccato un'inchiesta delle Nazioni Unite e a nessuno interessa portarla avanti). Per non parlare di casi ancora peggiori, che tornano facilmente alla memoria. Ma che questo sia un crimine orrendo è fuori da ogni dubbio. Le vittime principali, come al solito, sono lavoratori: addetti alle pulizie, segretari, vigili del fuoco, ecc. È probabile che questo evento colpirà in modo devastante i palestinesi ed altri popoli poveri ed oppressi. È altresì probabile che porterà a severi controlli di sicurezza, con molte ramificazioni possibili per mettere a repentaglio le libertà civili e l'autodeterminazione interna.
Gli eventi rivelano drammaticamente la stupidità del progetto di “difesa missilistica”. Com'è evidente da sempre, e com'è stato rilevato a più riprese dagli analisti strategici, se qualcuno vuole causare danni ingenti negli USA, anche usando armi per la distruzione di massa, è assai improbabile che questo qualcuno intraprenda un attacco missilistico, visto che in questo modo si guadagnerebbe una distruzione immediata. Ci sono innumerevoli modi più semplici che sono praticamente inarrestabili. Ma gli eventi di oggi, molto probabilmente, saranno sfruttati per incrementare le pressioni per lo sviluppo e l'attuazione di questi sistemi. La “difesa” non è che una debole copertura per piani di militarizzazione dello spazio, e se si è bravi nelle pubbliche relazioni, anche le argomentazioni più inconsistenti avranno parecchia rilevanza agli occhi di un pubblico terrorizzato.
In poche parole, questo crimine è un regalo fatto alla destra radical-sciovinista, a quanti sperano di usare la forza per controllare i loro ambiti di competenza. Questo anche mettendo da parte le probabili azioni statunitensi e ciò che esse scateneranno - forse altri attacchi di questo tipo, magari anche più gravi. Abbiamo davanti a noi prospettive ancora più inquietanti di quanto non potesse apparire prima di queste ultime atrocità.
Quanto alla nostra reazione, abbiamo una scelta. Possiamo esprimere un legittimo orrore; possiamo cercare di capire che cosa possa aver portato a questi crimini, il che significa sforzarsi di entrare nelle menti dei probabili attentatori. Se scegliamo quest'ultima via, non possiamo fare nulla di meglio, credo, che prestare ascolto alle parole di Robert Fisk, che più di chiunque altro ha una conoscenza diretta ed approfondita degli affari di quella regione, dopo molti anni di encomiabile attività giornalistica. Descrivendo “la malvagità e la raccapricciante crudeltà di un popolo schiacciato e umiliato”, Fisk scrive che “questa non è la guerra della democrazia contro il terrorismo, come al mondo intero sarà chiesto di credere nei prossimi giorni. Si tratta anche di missili fabbricati negli Stati Uniti che distruggono abitazioni palestinesi, di elicotteri Made in Usa che hanno lanciato missili su di un'ambulanza libanese nel 1996, di bombe statunitensi che hanno devastato un villaggio di nome Qana, ed è in gioco anche una milizia libanese - che riceve finanziamenti e divise da un alleato degli Stati Uniti, Israele - e che va seminando distruzioni, violenze carnali e morte per i campi profughi”. E ci sono molte altre cose. Anche in questo caso, abbiamo una scelta: possiamo cercare di capire, oppure rifiutarci di farlo, contribuendo ad aumentare le probabilità che ci attenda, per il futuro, qualcosa di ancora più atroce.
Noam Chomsky


La nostra vita cambierà
Javier Solana, alto rappresentante Ue per la politica estera e la sicurezza comune su la Stampa

Questa settimana i nostri occhi sono stati testimoni di un'impressionante tragedia a cui niente e nessuno poteva averci preparato. Avremo bisogno di tempo per assimilare le conseguenze di questo crimine spaventoso e barbaro. Gli schermi televisivi ci hanno mostrato prima montagne di cemento che si sfracellavano in diretta, poi centinaia di persone che vagavano senza meta per le strade di New York, in cerca di "desaparecidos".
In pochi minuti, la civiltà è sembrata cambiare rotta. La tragedia è così grave che a fatica riusciamo a renderci conto degli effetti profondi che ha provocato nella vita di molte famiglie, lacerate per sempre, e che ancora provocherà nella nostra società, abituata a un alto livello di sicurezza e a una piena libertà di movimento.

Come era suo dovere, l'Europa ha messo a disposizione del popolo americano tutto l'aiuto concreto possibile. Questa è stata la nostra prima priorità.

Dobbiamo riflettere sui cambiamenti necessari dopo gli attacchi di questa settimana. Dobbiamo incrementare l'efficacia delle misure di sicurezza. In alcuni casi, non saranno scelte comode: è possibile che i trasferimenti non possano più essere rapidi come oggi; tuttavia, questo sarà un piccolo prezzo da pagare per avere una maggiore tranquillità. Dobbiamo anche approfondire il consenso tra tutti coloro che stanno lavorando nella lotta contro il terrorismo. E' essenziale migliorarne il coordinamento e stabilire metodi di lavoro comuni.

La lotta contro il terrorismo non può essere una lotta contro determinati paesi, culture o religioni. Le nazioni non sono né buone né cattive. Neppure lo sono le culture o le religioni. Con i terroristi non condividiamo alcun valore. Con altre religioni o culture, dobbiamo essere capaci di condividere tutto, specialmente i valori della civiltà, della umanità.

L'Europa è disposta ad aiutare gli Stati Uniti. Lo sta già facendo. Insieme, dobbiamo adottare le misure necessarie per evitare che torni a ripetersi ciò che abbiamo vissuto questa settimana. E' la priorità nostra e di tutti coloro che condividono il senso della atrocità che è successa in America. Ma potremo riuscire a frenare il flagello del terrorismo solamente con una coalizione globale, senza esclusioni, incluedendo tutta la umanità civilizzata. Una guerra contro il terrorismo non deve, in nessun modo, scatenare una guerra tra civiltà.

Emozioni e ragione
Sergio Romano su Corriere della Sera

Anche il lutto mondiale di cui siamo stati testimoni nella giornata di venerdì è una forma di globalizzazione. Dimostra che il mondo ha provato, di fronte agli attentati di New York e Washington, gli stessi sentimenti: pietà per le vittime, solidarietà per gli Stati Uniti, indignazione e rabbia per il fanatismo omicida dei terroristi. L'America ne esce per molti aspetti più forte. La dignità e il patriottismo dei suoi cittadini, il semplice eroismo dei suoi poliziotti e pompieri, le coraggiose telefonate dei passeggeri dirottati alle loro famiglie, lo spontaneo ritorno in patria dei turisti americani all'estero, il numero delle bandiere acquistate negli scorsi giorni e la volontaria mobilitazione della gente di New York sui luoghi della catastrofe, fanno giustizia di molti luoghi comuni diffusi in alcuni settori della società europea. Mi chiedo con quale coraggio una certa sinistra potrà ancora parlare, a proposito dell'America, di materialismo, egoismo, edonismo. La forza degli Stati Uniti non è soltanto nei suoi missili e nel suo arsenale nucleare. E' nella straordinaria fibra morale del suo popolo. Dopo il lutto, tuttavia, occorre tornare il più rapidamente possibile alla normalità. La parola può sembrare, in queste circostanze, segno di freddezza e cinismo, ma è giustificata, credo, da almeno due considerazioni.
I terroristi non vogliono soltanto uccidere e distruggere. Vogliono soprattutto sconvolgere la nostra vita, sovvertire le nostre consuetudini, obbligarci a sospendere le nostre garanzie democratiche.

Esiste una seconda ragione per cui è bene tornare alla normalità. Occorre evitare che le emozioni, per quanto giustificate e legittime, si traducano in decisioni politiche affrettate o strumentali.


Quel giorno fra i seguaci di Bin Laden
Tiziano Terzani su Corriere della Sera

Nessun giornalista occidentale è riuscito a passare del tempo con Bin Laden e a osservarlo da vicino, ma alcuni hanno potuto avvicinare e ascoltare la sua gente. A me capitò, nel 1996, di passare una giornata in uno dei campi di addestramento che lui finanziava al confine fra il Pakistan e l'Afghanistan. Ne uscii sgomento e impaurito. …
Per tutto il tempo in mezzo ai mullah, duri e sorridenti, e tanti giovani dagli sguardi freddi e sprezzanti, mi ero sentito un appestato, il portatore di un qualche morbo da cui non mi ero mai sentito affetto. Ai loro occhi la mia malattia era semplicemente il mio essere occidentale, rappresentante di una civiltà decadente, materialista, sfruttatrice, insensibile ai valori universali dell'Islam.
Avevo provato sulla pelle la conferma che, con la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo, la sola ideologia ancora determinata ad opporsi al Nuovo Ordine, che, con l'America in testa, prometteva pace e prosperità al mondo globalizzato, era quella versione fondamentalista e militante dell'Islam.

Erano gente di un altro pianeta, di un altro tempo, gente che "crede" come noi stessi abbi amo saputo fare in passato, ma non sappiamo più, gente che considera il sacrificio della propria vita per una causa "giusta" come una cosa "santa". Quei giovani erano d'una pasta che noi abbiamo difficoltà ad immaginare: indottrinati, abituati ad una vita spartanissima, ritmata da una stretta routine di esercizi, studio e preghiere, una vita tutta disciplina, senza donne prima del matrimonio, senza alcol, senza droghe. Per Bin Laden e la sua gente quello delle armi non è un mestiere, è una missione che ha radici nella fede acquisita nell'ottusità delle scuole coraniche, ma soprattutto nel profondo senso di scacco e di impotenza, nell'umiliazione di una civiltà - quella musulmana - un tempo grande e temuta, che si vede ora sempre più marginalizzata e offesa dallo strapotere e dall'arroganza dell'Occidente.


Pesantissimo raid su Gaza Operazione dell'esercito di tel Aviv con elicotteri, F16 e missili. Ancora provvisorio il computo delle vittime.
il Sole24ore

Israele ha sferrato un attacco missilistico da terra, aria e mare contro obiettivi nella striscia di Gaza. L'azione, in cui sarebbero stati impegnati elicotteri da combattimento e cacciabombardieri F-16, ha riguardato una caserma di Gaza vicino alla residenza di Yasser Arafat, Rafah e il campo profughi di Nusairat. Nel massiccio attacco israeliano ancora in corso vengono impiegate anche navi da guerra. L'Autorità Palestinese ha ordinato l'evacuazione di tutti gli edifici pubblici della cittá.

L'esercito israeliano ha spiegato che gli attacchi sono avvenuti in risposta al "continui colpi di mortaio" sparati sugli insediamenti della zona

Dura la condanna all'ennesimo bombardamento arrivata dal ministro dell'Informazione palestinese Yasser Abed Rabbo: si è trattato, ha sottolineato, di un'azione giunta "senza provocazioni" contro il popolo palestinese, mentre l'attenzione mondiale è concentrata su quanto accaduto negli Stati Uniti. Secondo Rabbo, si tratta di un messaggio del primo ministro israeliano Ariel Sharon "a noi e al mondo per dire che non vuole che si tenga l'incontro" tra Arafat e il ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres.



L'Islam e l'ira dell'Impero
Eugenio Scalfari su la Repubblica

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In un mondo che sta celebrando da dodici anni la fine delle ideologie o meglio il trionfo di un'unica ideologia, nasce improvvisamente un'ideologia alternativa dotata d'una forza contundente tremenda: la rivolta dei poveri del mondo, la ribellione degli esclusi, la volontà di potenza dei deboli. Il terrorismo islamico si appella al suo Dio con un'interpretazione unilaterale e feroce dei testi coranici, non condivisa ed anzi condannata da molti correligionari; ed hanno perfettamente ragione tutti quelli che ci ricordano che l'Islam è una realtà culturale non violenta e profondamente intrecciata con le origini della civiltà occidentale.
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Bin Laden se ne infischia probabilmente dei poveri del mondo; i guerrieri della sua "Spectre" non sono indottrinati alla lotta di classe; le masse arabe e le popolazioni musulmane dell'Asia centrale, dell'India, dell'Indonesia, non sono mai state penetrate dal credo marxista. Ma tutti hanno uno stesso obiettivo: abbattere un ordine mondiale che li esclude, li assoggetta, è animato da valori estranei alle loro tradizioni, monopolizza ricchezza e benessere ne promette la diffusione, ma quando, tra quanti anni, tra quanti secoli?
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Provate a disegnare una serie di cerchi concentrici: al centro il cerchio più piccolo, scriveteci Bin Laden; poi uno più grande, scriveteci arabi; poi uno più grande ancora, scriveteci musulmani; infine il più grande di tutti, scriveteci poveri ed esclusi.
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Ora almeno una parte delle masse che stanno dentro a quel sistema di cerchi concentrici è entrata in comunicazione reciproca: li accomuna soltanto la loro condizione umana di esclusi, ma alcuni di loro sono anche accomunati da una fede religiosa, altri da un obiettivo politico urgente, tutti o quasi tutti da una divorante invidia esistenziale: invidiano e quindi odiano l'Occidente e in specialissimo modo gli Stati Uniti d'America, cioè l'impero del benessere, della forza, del potere e in particolare il centro dell'Impero.
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Sarà una guerra o un'operazione, sia pure di grandissime dimensioni, di polizia internazionale?

Non giochiamo con le parole. Quando un'operazione di polizia internazionale è affidata ad armate di terra, di cielo e di mare; quando mobilita decine di migliaia di uomini; quando per svolgersi deve violare confini e sovranità; quando dovrà misurarsi con difese militari di altri paesi; quando si prevede una durata di molti mesi se non di anni; ebbene questa si chiama guerra e lo è. Del resto lo stesso Bush la chiama così perché la sente così.

Sarà la guerra contro un mostruoso terrorismo il quale però non è sentito come tale da un'altra parte rilevante del mondo. E tra gli uni e gli altri ci sarà - c'è già - una zona grigia che condannerà le stragi perpetrate da entrambi e non vorrà schierarsi né con gli uni né con gli altri. Ciascuno di noi sceglierà dove stare e certo nessuno di noi starà con i terroristi, siano essi artigianali o industrializzati; ma questa sarà la mappa del pianeta, è bene saperlo per misurare le mosse e la loro efficacia.
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Gli Stati arabi moderati vorrebbero far parte, come fu all'epoca della guerra del Golfo, della coalizione occidentale ma il grosso della loro opinione pubblica è dominata dai movimenti islamici agganciati in quella regione allo scontro tra Israele e palestinesi. Ebbene, questo scontro va affrontato di petto dall'Occidente e risolto nel solo modo possibile: la creazione dello Stato palestinese, la garanzia di tutto l'Occidente all'esistenza di Israele, la presenza di interposizione di adeguati contingenti dell'Onu, un aiuto massiccio al popolo palestinese perché trovi finalmente condizioni eque di lavoro e di sviluppo economico.

Se l'Occidente - e gli Usa in particolare - sapranno compiere questo fattibile miracolo forse comincerà ad esser vero che i terroristi alla Bin Laden si sono sparati sui piedi. Ma quei terroristi presumono di sapere che l'Occidente non può o non vuole fare quel miracolo. Perciò smentirli è indispensabile.
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L'Europa può fare molto perché le cose vadano nel verso giusto se riuscirà a parlare alto e forte con una sola voce. Il tempo di baloccarci tra il dire e il non fare è finito anche per noi.



Sordi al silenzio del mondo civile
Da.Cr. su Il Giorno del 16.09.2001

MONZA — La tragedia dell'indifferenza. Venerdì, ore 12. In tutto il mondo si osservano 3 minuti di silenzio per le vittime statunitensi. Non dappertutto però è così. Come nella pur civilissima Monza. Non sono infatti stati in molti nelle strade del centro ad aderire all'iniziativa. Matteo Luraghi, della sede di via Italia della Ricordi, è addirittura sconvolto:«Noi di minuti di raccoglimento ne abbiamo osservati addirittura 5, ma siamo stati in pochissimi nella nostra via».
Il racconto che arriva dal negozio di musica e libri monzese ha del surreale. Alla Ricordi si spengono le luci e la musica, le scale mobili si arrestano e tutti i dipendenti si fermano in raccoglimento. La gente però continua ad entrare come se nulla fosse. Qualcuno domanda se per caso ci sia un guasto all'impianto elettrico. «No, è che in tutto il mondo ci sono 3 minuti di silenzio» sbotta Luraghi. «Allora posso salire lo stesso al secondo piano?» chiede il cliente. «Faccia lei, ma dovrà farsela a piedi perchè la scala mobile non la riattivo».
«Anche in biblioteca Civica - aggiunge una ragazza - nessuno pare essersene accorto. In 3 o 4 ci siamo fermati. Gli altri hanno continuato a sfogliar pagine e sottolineare libri come tutti i giorni».


  16 settembre